La storia del denim è antica quanto la sua origine, risalente più o meno al XV. Tessuto robusto e indistruttibile è passato da fibra degli abiti da lavoro a vero e proprio materiale di tendenza, nello street-style così come nel pret-a-porter (e pure nell’alta moda, vedi Marithe Francois Girbaud). Chi non possiede un paio di jeans nel proprio armadio alzi la mano? Ecco. 😉 Quello che forse non tutti sanno, ma che molto probabilmente state iniziando a leggere in giro in info-grafiche farcite di terrore, è che produrre jeans ha un impatto ambientale e sociale abbastanza alto.
IL PROBLEMA
I jeans che portiamo sono fatti di denim. Il denim è un tessuto che utilizza il cotone come sua componente primaria (e quasi sempre unica), una fibra che ha bisogno di moltissima acqua per crescere, nonché pesticidi e fertilizzanti. E già qui non va bene. Durante le fasi di lavorazione e trasformazione, sopratutto per tintura e finissaggio (quella che gli conferisce il suo tipico colore blu e tutti i vari effetti sdruciti e slavati), vengono impiegate numerose sostanze tossiche e procedimenti dannosi per l’ambiente e per le persone che le eseguono (perché spesso sono prodotti in Paesi dove i controlli e le norme di sicurezza e sanitarie sono lontanissime dall’essere rispettate).
- Per fare un jeans serve più o meno 1 chilo di cotone e per la produzione di 1 chilo di cotone sono necessari circa 10.00 litri di acqua. 10.000 LITRI!
- Per conferire il caratteristico colore blu si usa l’indaco: un colorante sintetico alquanto dannoso; per avere blu più intensi si possono tingere i jeans anche 3/9 volte, con il rilascio di sostanze tossiche e metalli pesanti utilizzati affinché l’indaco si dissolva. inoltre, alcuni metalli pesanti vengono utilizzati per far si che l’indaco si dissolva.
- Per ottenere particolari effetti di scoloritura o sdruciture vengono fatti il famoso stone washed o la sabbiatura, procedimenti entrambi pericolosi sia l’uomo sia per l’ambiente.
Se moltiplichiamo questi dati e queste problematiche per le quantità abnormi di denim e jeans che vengono prodotti stagionalmente…la situazione appare alquanto problematica. Per avere un quadro realistico, duro e crudo della situazione io consiglio sempre la visione di “The Blue River” (il punto positivo è che la voce narrante di questo percorso nelle tragedie causate dalla produzione del denim è di Jason Priesley, il vecchio Brandon di Beverly Hills 90210).
SOLUZIONI INNOVATIVE
Una volta sbattuta la faccia contro il problema, correre ai ripari è il minimo sindacale per garantire la sopravvivenza della specie. Quello che sta accadendo a livello industriale è trovare soluzioni alternative e meno impattanti. Prima fra tutte l’uso di cotone organico e bio, quindi cresciuto senza uso di pesticidi e in zone adatte dove si può ridurre l’apporto di acqua. Per la tintura si usano tecniche e sostanze alternative, come una colorazione naturale o effettuata con enzimi al posto di sostanze chimiche. Ma ci sono addirittura aziende che stanno ottimizzando un processo di riciclo delle fibre di denim partendo dalla scomposizione del vecchio jeans, quindi senza bisogno di utilizzare materie prime ex novo.
Infografica –––> https://www.shopalike.it/i-nostri-jeans-danneggiano-il-nostro-pianeta/
![](https://morgatta.wordpress.com/wp-content/uploads/2019/09/sandblasting-allisonjoyce001.jpg?w=620&h=413)
A worker without proper face protection works at a denim sandblasting plant outside of Dhaka, Bangladesh March 25, 2010. Manual sandblasting was recently banned in Turkey after it was discovered that it led to 40 deaths. Without the use of proper face protection, manual sandblasting can lead to silicosis by the inhalation of the silica dust in sand. Manual sandblasting has long been banned many European countries and the United States. The textile industry is Bangladesh’s number one export earner and employs over 2.2 million workers.
Eliminando certi tipi di procedimenti si assicurano anche migliori e più sane condizioni di lavoro a chi questi tessuti e queste sostanze li maneggia giornalmente. Fortunatamente la tecnologia sta andando avanti e così anche le alternative per impattare meno. Tra i brand virtuosi (e anche stilosi) ARMED ANGELS con i loro detox denim, MUD JEANS, Good Society, Know The Origin e Kuyichi. Solo per citarne alcuni…
SOLUZIONI PRATICHE (LE NOSTRE)
Anche noi possiamo fare la nostra parte. Prima di tutto amare i nostri jeans un po’ di più e fare in modo che durino più a lungo, trattandoli bene e non lasciandoli in mezzo di strada per correre dietro al primo che passa 😉 Si sa che il nuovo attira, ma anche le storie di vecchia data se opportunamente rinnovate possono regalare grandi soddisfazioni. Lavarli il necessario ed in acqua fredda è un buon inizio; se si sdruciscono o si rompono si possono riparare in modo creativo o usarli con gli strappi (voglio dire, li vendono a 150€ quelli già strappati di fabbrica, meglio ridurli così con il passare del tempo, o no?) e quando proprio non riusciamo a chiuderli o non ci sentiamo comode dentro meglio regalarli, venderli in qualche mercatino o trasformali in qualcosa di nuovo. Se forbici e macchine da cucire sono quanto di più lontano dalle vostre corde, ci sono tantissimi laboratori e marchi che offrono dei servizi di riparazione/refashioning di capi esistenti. Come per esempio Back to Eco che ho visto lo scorso fine settimana a Barcellona…
Un negozio, laboratorio, spazio per eventi INTERAMENTE dedicato all’upcycling e alla trasformazione di vecchi denim in nuovi capi ed accessori. Con questi jeans recuperati al 100% dai contenitori di Roba Amiga si sviluppano sia collezioni di capi unici sia un nuovo tessuto riciclato chiamato INFINITE DENIM. Il tutto è realizzato a Barcellona con l’integrazione nel laboratorio di persone con un certificato di rischio di esclusione sociale (attualmente ce ne sono 3). La cosa bella è che non solo si possono acquistare capi e accessori già fatti, quanto è possibile portare il proprio paio di jeans usati e richiedere un servizio personalizzato. A fine vita del prodotto acquistato da Back to Eco è possibile riportalo in negozio affinché venga riutilizzato un’altra volta. Se non è economia circolare questa 😉
Insomma il problema c’è, ma anche le sue alternative e come sempre MENO E MEGLIO E’ MEGLIO! 😉 Se conoscete altre iniziative virtuose a tema denim, condividetele con me!